Alighiero Boetti (Torino, 1940 – Roma, 1994) – o Alighiero e Boetti come si firma a partire dal 1971 –esordisce nell’ambito dell’Arte Povera nel gennaio del 1967. Nel 1972 si trasferisce a Roma. Già l’anno precedente ha scoperto l’Afghanistan e avviato il lavoro artistico che affida alle ricamatrici afghane, tra cui le Mappe, i planisferi colorati che riproporrà lungo gli anni, come registro dei mutamenti politici del mondo. Artista concettuale, versatile e caleidoscopico, moltiplica le tipologie di opere la cui esecuzione – in certi casi – viene delegata con regole ben precise ad altri soggetti e altre mani, assecondando il principio del “la necessità e il caso”: così le biro, i ricami di lettere, i fitti puzzle, i lavori postali, gli esercizi su carta quadrettata, ecc.
Ha esposto nelle mostre più emblematiche della sua generazione, da When attitudes become form (1969) a Contemporanea (1973), da Identité italienne (1981) a The italian metamorphosis 1943-1968 (1994). È più volte presente alla Biennale di Venezia, con sala personale nell’edizione del 1990, un omaggio postumo nel 2001 e con un’ampia mostra alla Fondazione Cini nell’edizione del 2017. Tra le mostre più significative degli ultimi anni vi è la grande retrospettiva Game Plan in tre prestigiose sedi (il MOMA di New York, la Tate di Londra, il Reina Sofa di Madrid). Dell’ampio corpus di opere, molte sono conservate in diverse sedi museali italiane ed internazionali, tra cui il Centre Pompidou di Parigi, Stedelijk Museum, il MOCA di Los Angeles.